Look: dawn

L’argomento di questo articolo è il lockdown programmato come soluzione permanente alla crisi sanitaria in atto. Permettetemi però una breve premessa.

Forse avrete già capito che sono contrario all’abuso di anglicismi, da cui la lingua italiana è ogni giorno più contaminata. Ciò non significa ovviamente che io disprezzi la lingua inglese o la sua letteratura, tutt’altro. Giusto poco tempo fa l’intervento del virus, a cui ho dato spazio su queste pagine, con i suoi richiami alle estinzioni di massa mi ha fatto ripensare ad un suggestivo sonetto di Shelley: Ozymandias. Se non lo conoscete, potete trovarlo qui (una traduzione è disponibile in fondo all’articolo nella sezione dei commenti). L’argomento è il crollo di un antico, potente impero e del suo superbo sovrano; al viandante attonito non resta ora da ammirare altro che qualche frammento di un’enorme statua in mezzo al deserto. Sul piedistallo, se non ricordo male, si possono ancora leggere le parole: “Andrà tutto bene”.

Tornando agli anglicismi, devo ammettere che a volte anch’io mi arrendo. Quando uno di essi entra nell’uso quotidiano, a meno che non sia proprio orripilante, può essere che anch’io finisca per utilizzarlo. Ad esempio la parola “lockdown” è passabile: ha un che di cupo e opprimente che le permette di trasmettere in modo particolarmente efficace il proprio significato. Per questo ora parlerò finalmente di lockdown.
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COstretti a VIvere Distanti

Potrebbe essere, almeno sul medio termine, la rivincita dei misantropi.

Ci fu il tempo dei cacciatori-raccoglitori, e quello era il loro eden: se ti andava, potevi passare settimane in perfetta beatitudine senza quasi incontrare anima viva. Poi sorsero l’agricoltura e l’allevamento, attorno a cui crebbero centri abitati sempre più popolosi. I misantropi allora guardavano con disgusto a quei maleodoranti agglomerati, e avevano le loro buone ragioni: malattie infettive di ogni sorta ivi prosperavano e si moltiplicavano. Come se non bastasse, la stretta vicinanza con noi bovini e altri quadrupedi, stipati in angusti letamai, favoriva il passaggio di morbi sempre più temibili da noi all’uomo (senza che ne avessimo la benché minima responsabilità, ovviamente).
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Carenza di anticorpi

Una caratteristica fondamentale degli anticorpi è quella di attivarsi in maniera rapida e spontanea quando c’è bisogno di loro, senza aspettare l’assenso del sistema nervoso centrale. Quest’ultimo potrebbe essere addormentato, concentrato su altre attività, o semplicemente molto pigro, ma in un organismo sano la risposta immunitaria ad un patogeno avverrebbe ugualmente e con la stessa efficacia.

Che cosa accadrebbe invece se al contrario prima di attivare le difese immunitarie ciascuno di noi dovesse attendere di prendere coscienza della situazione e deliberare poi una serie di contromisure? La risposta è facile: l’infezione avrebbe buon gioco nel diffondersi capillarmente, e gli interventi messi in campo per arginarla sarebbero tardivi e quasi del tutto inefficaci.

Quest’ultima frase purtroppo riflette esattamente quanto è successo in questi mesi in gran parte delle nazioni del pianeta, mettendo a nudo negli organi responsabili della prevenzione su larga scala un dilettantismo a dir poco disarmante.

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Il punto di non ritorno

Chi ha bisogno di un’iniezione di ottimismo?

Io ne ho bisogno. Rivoglio il mio mondo. Voglio tornare indietro, voglio che tutto sia ancora com’era prima.
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Il Coronavirus ai tempi del Coronavirus

Pipistrelli a testa in su

Se avessi le orecchie, credo che mi fischierebbero. Per quel che posso ricordare, non si è mai parlato così tanto di me; in effetti fino a poco tempo fa non si parlava affatto. Se ce l’avete con me posso anche capirvi, ma fossi in voi –come effettivamente sono– prima di ricorrere ad espressioni colorite come “carognavirus” o simili rifletterei un attimo, e proverei ad osservare le cose da una prospettiva un po’ diversa.
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