Vaccino? Non ci va

“Ciao. Ehi, ti vedo bene!”
“No, guarda, sono uno straccio.”
“Ma ti stai riprendendo, no? Dài, raccontami.”
“Che cosa vuoi che ti dica… è stata dura. Tutti quei giorni in ospedale. Ma non mi sono mai scoraggiato: sono sempre stato convinto che ce l’avrei fatta.”
“E com’era in ospedale? Erano organizzati bene?”
“Mah, sì, eravamo in tanti… cioè: tanti pazienti. Tantissimi. Ma il personale si dava un gran da fare. Purtroppo non tutti ne sono usciti come me.”
“E ti hanno detto qualcosa? Voglio dire…”
“Ah, sì. Nulla di particolare, mi hanno solo lasciato intendere che avrei fatto meglio a vaccinarmi. Io non ho risposto niente, non mi andava di essere sgarbato, e poi come ti ho detto hanno sempre lavorato bene. Be’, insomma, hanno fatto il loro dovere.”
“Hai detto che eravate in tanti? E riuscivano lo stesso a seguirvi tutti?”
“Era proprio il momento del picco. Avevano occupato quasi tutto l’ospedale, io ero in quello che normalmente è il reparto di medicina generale.”
“Càspita! E come hanno fatto a svuotare un reparto? Dove li hanno messi tutti gli altri pazienti?”
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Look: dawn

L’argomento di questo articolo è il lockdown programmato come soluzione permanente alla crisi sanitaria in atto. Permettetemi però una breve premessa.

Forse avrete già capito che sono contrario all’abuso di anglicismi, da cui la lingua italiana è ogni giorno più contaminata. Ciò non significa ovviamente che io disprezzi la lingua inglese o la sua letteratura, tutt’altro. Giusto poco tempo fa l’intervento del virus, a cui ho dato spazio su queste pagine, con i suoi richiami alle estinzioni di massa mi ha fatto ripensare ad un suggestivo sonetto di Shelley: Ozymandias. Se non lo conoscete, potete trovarlo qui (una traduzione è disponibile in fondo all’articolo nella sezione dei commenti). L’argomento è il crollo di un antico, potente impero e del suo superbo sovrano; al viandante attonito non resta ora da ammirare altro che qualche frammento di un’enorme statua in mezzo al deserto. Sul piedistallo, se non ricordo male, si possono ancora leggere le parole: “Andrà tutto bene”.

Tornando agli anglicismi, devo ammettere che a volte anch’io mi arrendo. Quando uno di essi entra nell’uso quotidiano, a meno che non sia proprio orripilante, può essere che anch’io finisca per utilizzarlo. Ad esempio la parola “lockdown” è passabile: ha un che di cupo e opprimente che le permette di trasmettere in modo particolarmente efficace il proprio significato. Per questo ora parlerò finalmente di lockdown.
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COstretti a VIvere Distanti

Potrebbe essere, almeno sul medio termine, la rivincita dei misantropi.

Ci fu il tempo dei cacciatori-raccoglitori, e quello era il loro eden: se ti andava, potevi passare settimane in perfetta beatitudine senza quasi incontrare anima viva. Poi sorsero l’agricoltura e l’allevamento, attorno a cui crebbero centri abitati sempre più popolosi. I misantropi allora guardavano con disgusto a quei maleodoranti agglomerati, e avevano le loro buone ragioni: malattie infettive di ogni sorta ivi prosperavano e si moltiplicavano. Come se non bastasse, la stretta vicinanza con noi bovini e altri quadrupedi, stipati in angusti letamai, favoriva il passaggio di morbi sempre più temibili da noi all’uomo (senza che ne avessimo la benché minima responsabilità, ovviamente).
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Carenza di anticorpi

Una caratteristica fondamentale degli anticorpi è quella di attivarsi in maniera rapida e spontanea quando c’è bisogno di loro, senza aspettare l’assenso del sistema nervoso centrale. Quest’ultimo potrebbe essere addormentato, concentrato su altre attività, o semplicemente molto pigro, ma in un organismo sano la risposta immunitaria ad un patogeno avverrebbe ugualmente e con la stessa efficacia.

Che cosa accadrebbe invece se al contrario prima di attivare le difese immunitarie ciascuno di noi dovesse attendere di prendere coscienza della situazione e deliberare poi una serie di contromisure? La risposta è facile: l’infezione avrebbe buon gioco nel diffondersi capillarmente, e gli interventi messi in campo per arginarla sarebbero tardivi e quasi del tutto inefficaci.

Quest’ultima frase purtroppo riflette esattamente quanto è successo in questi mesi in gran parte delle nazioni del pianeta, mettendo a nudo negli organi responsabili della prevenzione su larga scala un dilettantismo a dir poco disarmante.

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Il punto di non ritorno

Chi ha bisogno di un’iniezione di ottimismo?

Io ne ho bisogno. Rivoglio il mio mondo. Voglio tornare indietro, voglio che tutto sia ancora com’era prima.
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Il Coronavirus ai tempi del Coronavirus

Pipistrelli a testa in su

Se avessi le orecchie, credo che mi fischierebbero. Per quel che posso ricordare, non si è mai parlato così tanto di me; in effetti fino a poco tempo fa non si parlava affatto. Se ce l’avete con me posso anche capirvi, ma fossi in voi –come effettivamente sono– prima di ricorrere ad espressioni colorite come “carognavirus” o simili rifletterei un attimo, e proverei ad osservare le cose da una prospettiva un po’ diversa.
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