Dovrebbe dimettersi

Alla fine il coro unanime di coloro che chiedevano con urgenza alle gerarchie ecclesiastiche di prendere posizione nei confronti delle molteplici e bizzarre illazioni circa la vita privata del Premier ha ottenuto una risposta. Un cardinale, il cui nome per rispetto nei suoi confronti non riporterò per esteso, ma mi limiterò ad identificarlo con l’iniziale, ha inserito in un suo discorso ufficiale dei riferimenti impliciti, ma piuttosto mirati, all’argomento. Lo ha fatto inevitabilmente in maniera impacciata, cercando come si suol dire di assestare ora un colpo al cerchio e ora uno alla botte, senza sbilanciarsi troppo né da una parte né dall’altra. Il suo imbarazzo è comprensibile, e denota ancora una volta quello iato, direi quasi lo scollamento, che da secoli esiste nel mondo cattolico tra la teoria e la prassi.

Che l’attuale Governo [Berlusconi IV, NdR], dal punto di vista della Chiesa, sia nella storia d’Italia uno dei più aderenti ai principi evangelici fondamentali è evidente, e infatti sinora gli alti prelati non gli hanno fatto mancare il loro appoggio pressoché incondizionato. Chi non lo riconosce, probabilmente confonde la retta dottrina con un generico buonismo, figlio del sincretismo o peggio ancora di un indifferentismo che porta molti a considerare interscambiabili tutte le fedi, a patto di comportarsi in modo onesto.

Ma il Cristianesimo ha la sua cifra distintiva in passi come questo: “Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” (Matteo 5, 39-42).

Uno statista devoto non potrà che declinare questi insegnamenti nell’ambito politico-sociale e instillarli nella sua azione di governo. Chi è, socialmente parlando, il malvagio? Chi è che porta via la tunica al prossimo, o che costringe altri a faticare più del dovuto? Si tratta senza ombra di dubbio dell’evasore fiscale. La parola d’ordine quindi è: piena libertà di evasione, soprattutto per i più “malvagi”, cioè i più ricchi. Il Premier poi non manca di applicare in prima persona il precetto della generosità incondizionata, riversando abbondantemente il denaro risparmiato sugli indigenti che gli chiedono aiuti finanziari.

Il riferimento evangelico più importante, però, il vero faro del Governo, è un altro: la celebre parabola della zizzania: “Un uomo ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio” (Matteo 13, 24-30). Il significato della parabola è oltremodo chiaro: i figli del maligno (la zizzania) devono essere lasciati delinquere in pace. Inutile, anzi controproducente, perdere tempo a perseguire e processare i criminali. Ne discendono iniziative come limitazione o blocco delle intercettazioni, processo lungo, prescrizione breve e molte altre. D’altra parte Gesù Cristo ha detto anche: “Non giudicate, per non essere giudicati” (Matteo 7, 1). Chi si oppone a questo insegnamento più di colui che giudica gli altri per professione? Per questo il giudice è l’Anticristo per eccellenza.

Il cardinal B., però, in questi giorni si è guardato bene dal mettere in evidenza i meriti del Governo. Ha invece condannato in maniera netta l’evasione fiscale (un “cancro sociale”) e lanciato vaghe rampogne verso il “deterioramento del costume”, “comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui”, “stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”, giustificando poi così la sua digressione, quasi a volersi scusare: “Da più parti, nelle ultime settimane, si sono elevate voci che invocavano nostri pronunciamenti.”

Ma ancora una volta i comportamenti del Premier sono improntati ad una attenta ed umile lettura della Bibbia. Essa abbonda di riferimenti a prostitute e ad atti di prostituzione. Che male c’è dunque se egli si riempie la casa di meretrici e, inscenata una vera e propria sacra rappresentazione, immedesimandosi pienamente nel Cristo le perdona, le benedice e le congeda con un solenne: “Va’, e non peccare più”?

Purtroppo B., per il suo ruolo di Cardinale, non può limitarsi al Vangelo, ma deve rispettare una prassi morale che di evangelico ha ben poco, essendo stata stabilita secoli dopo da un pugno di Padri della Chiesa frustrati e sessuofobici. La Chiesa intesa come popolo di fedeli da tempo lo ha capito, e di fatto se ne infischia dei vari precetti relativi alla sessualità, ma le gerarchie stentano ancora a distaccarsi dalla Tradizione, considerandola sostanzialmente immutabile. E quindi se un uomo sposato divorzia e trova una nuova fidanzata, pur con l’accortezza di mantenere lontana dai riflettori la sua relazione per non dare motivo di scandalo ai benpensanti ipocriti, automaticamente scatta impietosa la gogna: peccato di fornicazione.

È comprensibile l’imbarazzo del Cardinale. Ma in una situazione come questa la cosa poteva essere gestita certamente meglio. Piuttosto sarebbe stato preferibile il silenzio. Insomma, B. dovrebbe dimettersi.

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