Il gatto di Shelomoh

Saggezza antica per problemi attuali. Shelomoh, figlio di Dawid, figlio di Yishay, conosciuto in occidente per lo più con nomi derivati dalla forma latina Salomon, è un re d’Israele ricordato soprattutto per aver in pochi anni edificato un grande tempio a Gerusalemme. In secondo luogo è noto per la sua sapienza e la sua saggezza, esemplificata da un celebre episodio biblico di cui riporto una variante adattata alla sensibilità moderna (se volete, ne trovate la versione canonica nel primo libro dei Re).

Un giorno due sudditi si presentarono al cospetto del re con un gatto, di cui ciascuno rivendicava la proprietà, chiedendogli di dirimere la questione. Il sovrano si astenne dall’interrogare a fondo i due contendenti, non passò al setaccio le loro parole per individuare eventuali omissioni o contraddizioni, né mandò a cercare dei testimoni che potessero confermare o smentire quanto essi affermavano. Dopo aver ascoltato attentamente le loro deposizioni, con misurata lentezza sfoderò la spada, la sollevò scintillante alla luce del caldo giorno e, davanti a tutto il popolo, solennemente dichiarò: “Non c’è problema, voi tenete fermo il gatto, che io lo taglio in due. Mezzo gatto ciascuno non fa torto a nessuno.”

Fermiamoci qui, e riflettiamo innanzitutto sul fatto che l’episodio che dovrebbe dimostrare la straordinaria saggezza del re di primo acchito al comune buon senso appare piuttosto come un esempio di irrefrenabile follia. Chiediamoci poi quali reazioni potevano ragionevolmente scaturire da un simile proponimento. Una possibilità è che almeno uno dei due contendenti inorridito rinunciasse alla pretesa (ed è in effetti più o meno quello che è accaduto nella storia originale, ma se non conoscete il finale non vi rovino il colpo di scena conclusivo e vi lascio il tempo di andare a documentarvi). Un’altra è che al contrario cominciassero subito a litigare su chi dei due avrebbe poi portato a casa la parte più grossa. Un’altra ancora è che i due cercassero in extremis di trovare un accordo: tenere il gatto a giorni alterni, o tirare a sorte, o lasciare che fosse il gatto a scegliere, o qualcos’altro del genere.





Un aspetto di questa vicenda che i commentatori, da secoli avvezzi a soffermarsi sull’esaltazione della saggezza del re, tendono generalmente a sottovalutare è quanto essa debba andare di pari passo con una grande arditezza. Se escludiamo che abbia agito impulsivamente, dobbiamo concludere che egli ha tenuto bene in conto anche la possibilità di trovarsi a dover fendere il colpo e dimidiare il povero felino. Pensate che figura avrebbe fatto davanti a tutto il popolo il grande e potente re Shelomoh se, a fronte dell’inflessibile ostinazione dei due sudditi, si fosse ridotto a dover ammettere: —Ma no, mica lo taglio davvero, ovvio che scherzavo!—. Un conto è proporre un esperimento mentale in cui il gatto, magari a seguito del possibile decadimento spontaneo di una sostanza radioattiva, è sottoposto al concreto rischio di tirare le cuoia; un conto è trovarti lì con la spada in mano e il gatto steso sull’altare che cerca disperatamente di divincolarsi dalla presa, mentre centinaia di occhi sono puntati su di te in attesa che tu mantenga la tua regale parola.

Ora lasciamo il sovrano in questa situazione imbarazzante e portiamo avanti le lancette dell’orologio di tremila anni: in un balzo arriviamo proprio ai giorni nostri. Il tempio a Gerusalemme non c’è più, ma in compenso c’è un problema molto simile a quello che abbiamo appena lasciato in sospeso. Questa volta al posto del gatto c’è un territorio, e al posto dei due sudditi ci sono due popoli che annoverano diversi milioni di persone ciascuno. Il fatto che il conflitto tra i due popoli duri ormai da più di un secolo e abbia mietuto da allora molte decine di migliaia di vittime lascia intuire che il problema non ammetta alcuna soluzione semplice, e purtroppo il re saggio, nel nostro repentino viaggio nel tempo, lo abbiamo lasciato là dov’era con la spada sguainata e una gatta da pelare. Tuttavia ci è lecito chiederci quale soluzione ci avrebbe suggerito se avessimo potuto condurlo qui con noi. Diciamo che anche questo è una sorta di esperimento mentale.

Possiamo cominciare elencando quello che non avrebbe fatto. Certamente non avrebbe tracciato un solco nel suolo con la punta della spada dicendo: —Da oggi in poi questo è il confine, voi restate di qua e voialtri andate di là—. È invece ciò che ha fatto (forse nell’erronea convinzione che il territorio conteso potesse essere trattato alla pari di un gatto) l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947 con la risoluzione numero 181, ottenendo come risultato un brutale, catastrofico aggravamento del conflitto. È anche quello che propongono ancora oggi quasi tutti gli osservatori internazionali, i quali immagino che nella maggior parte dei casi sappiano benissimo che è una colossale stupidaggine, ma probabilmente pensano di fare una figura migliore così piuttosto che stando zitti.

In base a ciò che sappiamo del suo modo di agire, il re saggio non avrebbe perseguito la strada del dialogo, della trattativa, dell’indagine, della ricostruzione storica degli eventi passati. Non avrebbe neppure minimamente provato a discutere di torto o di ragione. È quello che a volte siamo portati a fare noi comuni mortali, ma in questo caso non basta, ci vuole una saggezza superiore, quella che facilmente si confonde con la follia.





Che cosa avrebbe fatto dunque? Io credo che avrebbe drasticamente alzato la posta, che avrebbe arditamente arrischiato il tutto per tutto mettendo sul tavolo la sua carta migliore. Ai due popoli in lotta avrebbe quindi annunciato:

L’ultima volta che gli ho parlato, Dio mi sembrava particolarmente ben disposto nei miei confronti. Ora gli chiederò di far cadere un fuoco dal cielo che consumi ogni villaggio, ogni rivolo d’acqua e ogni filo d’erba che cresce tra il Giordano e il mare, e quando il fuoco sarà estinto farò cospargere di sale le ceneri residue, così che per quaranta generazioni nessuna creatura vivente possa più insediarsi in questo luogo.

Bene, il più glorioso tra i re d’Israele ha sentenziato. La prima cosa che mi viene da dire è che anche questa volta il rischio di una figuraccia è considerevole, perché non sempre, neppure nella Bibbia, Dio fa esattamente quello che ci si aspetta da lui. La seconda è che forse ha un tantino esagerato, ma è un’idea su cui si può provare a lavorare. Proseguiamo quindi nel nostro esperimento mentale considerando che nel corso del XX secolo è successa una cosa importante: sotto alcuni aspetti non secondari le creature hanno usurpato il posto del loro creatore, per esempio acquisendo pienamente il potere di far cadere il fuoco dal cielo. Senza necessariamente arrivare a questi estremi, più modestamente hanno capito, e in alcuni casi sperimentato sulla propria pelle, che il decadimento radioattivo di particolari sostanze è altamente nocivo per la salute, e soprattutto che la contaminazione dovuta a dette sostanze può durare anche centinaia o migliaia di anni. Quindi, lasciando perdere la parte più spettacolare e cruenta della proposta del saggio sovrano, la possibilità tecnica di rendere inabitabile un territorio per una durata prestabilita esiste. Proviamo allora a chiederci che cosa accadrebbe se nel territorio conteso fosse distribuito, in posizioni strategiche adeguatamente studiate, un arsenale di bombe radiologiche, ben sigillate ma piene di scorie nucleari. Anche senza bisogno di innescarle, la loro semplice presenza rappresenterebbe un deterrente contro l’uso di qualunque esplosivo o arma da fuoco nelle loro vicinanze.

Questo tuttavia è un “di più”, l’idea iniziale del sovrano era evidentemente un po’ diversa. Come nel caso del gatto, ci sono diverse possibili reazioni al suo annuncio. Non credo che in questa situazione possa pensare che una delle due parti semplicemente rinunci e stabilisca unilateralmente di svanire nel nulla. Più realisticamente, si aspetterebbe che rispondano: —Ehi no, aspetta, calma, che vuoi fare? Parliamone—. Quello sarebbe il momento giusto per lanciare un ultimatum: —Bene, volete più tempo? Un mese? Un anno? Accordato. Ma intanto non voglio sentir volare una mosca, altrimenti conoscete già le conseguenze. Sappiate che da oggi il vostro polso destro è legato indissolubilmente al polso sinistro del vostro nemico, e così pure la caviglia alla caviglia. Se vorrete andare da qualche parte, dovrete coordinarvi e camminare insieme. Se il vostro nemico cadrà nel dirupo, voi cadrete assieme a lui—.

Come ho anticipato, nella visione “salomonica” del problema non si pone per nulla la questione di chi abbia ragione e di chi abbia torto. C’è però una distinzione importante tra chi ha più da perdere e chi più da guadagnare. I primi sono quelli che partono da una posizione di vantaggio e si trovano improvvisamente catapultati in una posizione assai precaria: devono stare ben attenti alle loro mosse e soprattutto a non rispondere ad eventuali provocazioni, altrimenti rischiano di perdere tutto in un batter d’occhio. I secondi sono quelli che fino al giorno prima ci avrebbero messo la firma a buttarsi nel dirupo assieme al nemico, ma ora possono sfruttare questa situazione per guadagnare a poco a poco terreno e avvicinarsi ad una posizione di equilibrio, sapendo che difficilmente incontreranno una resistenza decisa. Sulle prime la situazione sarà estremamente tesa e regnerà una grande frustrazione. Qualche scaramuccia sarà forse inevitabile, ma se si riesce a mantenere complessivamente la calma per un po’ di tempo, a poco a poco la situazione si assesta e ci si fa l’abitudine. Trascorse cinque o sei generazioni ingessate in una pace imposta per mezzo della minaccia, probabilmente la tensione si stempererebbe, e da un certo punto in poi semplicemente nessuno più si ricorderebbe del motivo per cui i trisavoli ce l’avevano così tanto a morte tra loro.

Naturalmente il nostro esperimento mentale non è completo se non consideriamo anche i possibili risultati avversi. Il re ha promesso un fuoco dal cielo qualora dovesse tornare a ronzare una mosca, e tra gli scenari che deve tenere in considerazione c’è quello in cui nessuno gli dia retta. Se non vuole perdere la sua credibilità, deve essere pronto a mantenere la parola e dare un segnale deciso nel caso in cui il conflitto non si plachi affatto o in quello in cui si dovesse successivamente riaccendere in qualche zona del territorio: altrimenti si capirebbe che era solamente un bluff e tutto continuerebbe come prima. Quello che re Shelomoh possiede e a noi manca non è il potere di invocare un fuoco dal cielo, ma l’autorevolezza di stabilire che il momento è giunto. Oggi non abbiamo un re saggio, abbiamo invece una comunità internazionale piuttosto pigra e tendenzialmente litigiosa, che ben difficilmente potrebbe raggiungere un accordo su un piano d’azione così azzardato, tanto più che forse non ha neppure un vero, comune interesse alla cessazione del conflitto. E anche se riuscisse, potrebbe non essere facile trovare qualcuno che, pur nella consapevolezza che ad un male estremo si risponde con un estremo rimedio, pur dopo aver concesso ai residenti un abbondante preavviso, si decidesse a premere il bottone che condanna un’area di diversi chilometri quadrati all’inabitabilità per moltissimi anni a venire.

Il nostro esperimento si conclude quindi tornando con i piedi per terra. Probabilmente la saggezza antica è troppo folle per essere messa in pratica al giorno d’oggi, ed è davvero un peccato perché è evidente che altre soluzioni non ci sono. È un peccato anche perché potrebbe essere un esperimento sociale di notevole interesse, svolto in una situazione estrema ma circoscritta, in vista dei problemi che dovremo affrontare globalmente, prima o poi. La metafora dei polsi legati si applica pienamente alla popolazione umana nel suo complesso. La situazione in cui tutti se le danno di santa ragione gli uni contro gli altri invece di preoccuparsi del fuoco che sta arrivando inesorabilmente, senza comprendere che è ormai giunto il momento di fermarsi e collaborare per evitare il peggio, ammesso che sia ancora possibile, non è infatti il frutto di un fantasioso esperimento mentale, ma è il risultato molto concreto di quella che si può classificare come la vera irrefrenabile follia del nostro tempo.






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