La loro Africa

Forse nel futuro ci sarà una qualche storia
africana, ma al presente non ve n’è alcuna:
esiste solo la storia degli europei in Africa.

Hugh Trevor-Roper

Adesso basta, è veramente troppo. La misura è colma. Rimane una sola soluzione possibile: chiudiamo le frontiere. Niente e nessuno deve più passare. E non voglio sentire parole buoniste: nessuno si azzardi a dire “restiamo umani” o altre vuote frasi ad effetto del genere. Guai anche a chi propone: “aiutiamoli a casa loro”. No: che si arrangino!

Forse qualche lettore di Bue punto zero potrebbe a questo punto ritrovarsi in uno stato di incipiente perplessità. Ma come: dopo che hai cercato di convincerci che i confini non hanno più ragione di esistere, dopo che hai brutalizzato e sbeffeggiato alcune delle principali tesi salviniane, ci proponi affermazioni di questo stampo? Sarà forse che la figuraccia rimediata recentemente ti ha dato alla testa? Insomma, ti sei bevuto il cervello? O vuoi prenderci in giro?

Be’, capisco queste rimostranze, ma in realtà c’è una spiegazione più semplice. Il fatto è che ci può essere una certa distanza tra la teoria e la pratica. Per quanto riguarda la teoria, confermo tutto quello che ho già scritto. Quando si pone però il problema di mettere in pratica idee così astratte, può darsi che ci si ritrovi a scendere a compromessi. Può darsi che il percorso per arrivare all’obiettivo sia tortuoso. In alcuni casi l’azione da intraprendere può essere paradossale. Come quasi tutti i bovini, anche Bue punto zero è fedele al Tao, e quindi gli pare naturale che per innalzare qualcosa, prima la si debba abbassare; che per raddrizzare si debba piegare; che per riempire si debba svuotare; che per unire si debba dividere.

Parliamo ora dell’Africa. Qualcuno può negare che, già a partire dal medioevo, e più intensamente dal diciottesimo secolo in poi, molte popolazioni native siano state ridotte in schiavitù e deportate in catene verso altri continenti? Che le sue risorse naturali siano state sfruttate dagli Stati europei che avevano stabilito colonie sul suo territorio? Che la dominazione europea sia stata accompagnata da violenza, distruzione, lavori forzati, campi di concentramento, torture, e talvolta veri e propri genocidi? Che gli indigeni superstiti siano spesso stati costretti ad assimilare la cultura del Paese invasore, che alcune popolazioni siano state smembrate da arbitrari confini di nuovi Stati imposti dai coloni, e che altre popolazioni diverse e ostili tra loro siano state costrette invece a convivere entro uno stesso territorio? Che anche nel periodo post-coloniale alcuni Paesi europei abbiano continuato ad esercitare un’egemonia economica sulle ex-colonie, continuando di fatto a sfruttarne indebitamente le risorse? Che in molti casi gli odierni Stati africani siano governati da una classe politica asservita agli interessi occidentali, e che quando qualcuno di questi stati riesce a darsi un governo che opera in favore della nazione, solitamente quegli stessi interessi inducono surrettiziamente situazioni di instabilità che portano alla sua caduta?

Poco importa che in alcuni casi gli europei abbiano riconosciuto la responsabilità storica e morale delle trascorse atrocità. Dovremmo invece stupirci se, quando un europeo impietosito tende la mano ad un africano, questo non la azzanni con tutte le sue forze e non la lasci andare senza prima aver frantumato ogni più piccolo ossicino.

Non dobbiamo infatti pensare che dette atrocità appartengano ad un passato remoto, e che si possano tranquillamente dimenticare perché ormai non esistono più i presupposti che potrebbero portare a commetterne ancora, o perché non hanno più effetto sul presente. Al contrario, coloro i quali le hanno compiute non sono affatto diversi da chi oggi continua a sfruttare le popolazioni e le risorse del continente africano. Quelli e questi erano e sono tuttora pienamente umani. Proprio qui sta il problema, ed è per questo che condivido solo nelle intenzioni, e non nella sostanza, il motto che ho citato all’inizio. Ciò a cui dovremmo aspirare non è restare ciò che siamo, ma andare oltre, trovare almeno qualche piccolo margine di miglioramento.

Zarathustra, che abbiamo già incontrato tempo fa, non faceva che ripetere che l’uomo è qualcosa che deve essere superato, e inorridirebbe di fronte alla pretesa che si debba “restare umani”. Ma siamo di nuovo alle idee astratte, se non proprio alle utopie, e oggi vogliamo soluzioni pratiche. Nell’attesa che si attinga l’oltre-umano, che facciamo?

Sulla scorta di quella rapida sintesi storica che ho retoricamente proposto in forma interrogativa, la risposta non può che essere: spezziamo quell’ago che, piantato nel cuore dell’Africa, ne succhia la linfa vitale, tronchiamo quel condotto che la porta in Occidente; restituiamo il continente africano ai suoi abitanti, isoliamolo dal resto del mondo per difenderlo da esso. Se anche questo obiettivo vi sembra utopico, rileggete le prime righe di questo articolo: riflettono esattamente ciò che una larga parte della popolazione della democratica Europa in cuor suo oggi desidera. Benissimo: accontentiamola! Sarebbe l’inizio della Storia africana.

Non che mi aspetti che questa soluzione dia frutti immediati, tutt’altro. Anche gli africani sono tuttora pienamente umani, e quindi è prevedibile che in più di una occasione se le daranno di santa ragione tra di loro, come d’altronde hanno già fatto anche prima dell’auspicato isolamento. Tuttavia, avendo poco da perdere e molto da guadagnare, si può sperare che a lungo andare trovino la via della collaborazione. Una volta interrotti lo sfruttamento e l’ingerenza occidentali, a poco a poco si riorganizzeranno in base alle loro esigenze interne, cancelleranno i confini artificialmente imposti dall’esterno ridefinendo le giurisdizioni in base alle preesistenti suddivisioni culturali, e soprattutto si riapproprieranno del loro enorme patrimonio di risorse naturali e impareranno a gestirlo. A quel punto un po’ alla volta si potranno riaprire le maglie: attività commerciali con il resto del mondo, turismo, eccetera. La prospettiva temporale è di non meno di cento o duecento anni, probabilmente di più. Ma alla fine le popolazioni del continente africano, libere dall’ipocrisia di quel mondo occidentale che, mentre si impietosisce per la situazione disperata in cui molte di esse versano, continua a consolidare i presupposti della loro miseria, potranno ripresentarsi al resto del mondo con il peso economico e soprattutto con la dignità che spetta loro.

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