Carenza di anticorpi

Una caratteristica fondamentale degli anticorpi è quella di attivarsi in maniera rapida e spontanea quando c’è bisogno di loro, senza aspettare l’assenso del sistema nervoso centrale. Quest’ultimo potrebbe essere addormentato, concentrato su altre attività, o semplicemente molto pigro, ma in un organismo sano la risposta immunitaria ad un patogeno avverrebbe ugualmente e con la stessa efficacia.

Che cosa accadrebbe invece se al contrario prima di attivare le difese immunitarie ciascuno di noi dovesse attendere di prendere coscienza della situazione e deliberare poi una serie di contromisure? La risposta è facile: l’infezione avrebbe buon gioco nel diffondersi capillarmente, e gli interventi messi in campo per arginarla sarebbero tardivi e quasi del tutto inefficaci.

Quest’ultima frase purtroppo riflette esattamente quanto è successo in questi mesi in gran parte delle nazioni del pianeta, mettendo a nudo negli organi responsabili della prevenzione su larga scala un dilettantismo a dir poco disarmante.


Certamente tra gli eventi di una portata tale da sconvolgere intere nazioni ve ne sono alcuni che difficilmente possono essere previsti con anticipo, e ve ne sono alcuni contro i quali non ha senso adottare misure preventive. Rientrano in queste categorie, cercando esempi nel recente passato, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (impropriamente detta “Brexit”, più correttamente “UKsit”), o l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America.

Ci sono al contrario eventi catastrofici già ripetutamente occorsi e registrati dalle cronache di ogni tempo il cui accadimento nel futuro non può essere previsto con precisione, ma su cui abbiamo la certezza scientifica che accadranno di nuovo prima o poi; ne sono esempi i terremoti e le pandemie. Per questi il discorso è diverso.

Nessuno pretende ovviamente che il comune cittadino, per il quale questi ultimi tipi di evento sono (erano) soprattutto argomenti di film o saghe televisive dal carattere apertamente fantastico, sia preparato a fronteggiare adeguatamente situazioni del genere. Ci si aspetterebbe però da chi è responsabile della salute e della sicurezza pubblica, della stabilità dell’economia e più in generale della buona gestione delle risorse comuni che gli sono state affidate, un minimo di consapevolezza e di lungimiranza. Si tratta di un argomento già trattato in passato, e le conclusioni non erano state molto incoraggianti. Ora però appare chiaro come ci fossero ancora enormi spazi di peggioramento.

Il punto di partenza è un fatto a tutti noto: la notevole incidenza nella classe politica di tratti quali l’incompetenza e l’ignavia. Persino tra i politici più preparati e volenterosi può essere difficile trovare qualcuno che abbia la prontezza di valutare oggettivamente la situazione e il coraggio di imporre ad un intero Paese misure drastiche quanto impopolari per la prevenzione ed il contenimento di un’epidemia. Nel caso medio, un qualunque governo di una qualunque nazione andrebbe quindi paragonato ad un sistema nervoso centrale addormentato, pigro, o al più indaffarato in tutt’altro. È chiaro che non è proponibile l’idea che una tale responsabilità possa essere lasciata ad un organo del genere. La reazione a simili eventi deve essere di gran lunga più rapida e più radicale. Un piano di gestione di un’emergenza sanitaria di questo tipo deve necessariamente prevedere dei parametri da monitorare (indice di contagiosità, periodo di incubazione, gravità delle patologie…) e azioni da intraprendere (screening a tappeto, quarantena, blocco degli spostamenti…) in maniera immediata al superamento di determinati valori dei parametri in oggetto, senza bisogno dell’approvazione esplicita di alcun letargico organismo politico. Strutture come la Protezione Civile, l’Istituto Superiore di Sanità, le prefetture o loro omologhi avrebbero quindi il compito di vigilare ed intervenire, non certamente in modo arbitrario, ma in maniera coordinata e secondo protocolli ben definiti, condivisi e approvati (una volta per tutte) dagli organi politici competenti, senza bisogno di attendere che il governo di turno, preoccupato più che altro dei risultati delle prossime elezioni, dedichi la propria attenzione a qualcosa che non comprende e che non gli interessa, e soprattutto senza che tale governo debba giustificare davanti a milioni di elettori increduli la rigidità delle misure restrittive da applicare.

Per dirla con altre parole, nessun governo dovrebbe essere messo nelle condizioni di dover valutare, soppesare, mediare e deliberare infine decisioni sofferte e tardive, ma a cose fatte semplicemente solleverebbe le spalle e direbbe ai cittadini: “Scusate, non ci posso fare niente, le regole sono queste”. Tutt’al più potrebbe, a posteriori, valutare che alcune contromisure adottate si sono dimostrate eccessive, magari per la presenza di elementi di cui i protocolli in atto non tenevano conto, e attenuarle per decreto.

Quindi una volta tanto le colpe più gravi non sono da attribuirsi ai governi in sé, ma alle carenze di tutte quelle figure “tecniche” che in passato hanno avuto il compito di pianificare, proporre e realizzare dei piani per fronteggiare emergenze sanitarie globali; predisporre cioè gli anticorpi necessari ad una reazione immediata (nel senso specifico di senza mediazione) in caso di infezione. È palese infatti che costoro hanno, su scala mondiale, miseramente fallito, e non si può accettare come attenuante il “senno di poi”, visto che, come ho già detto, la questione dell’insorgenza di una pandemia non ha mai riguardato il se, ma solamente il quando. Neppure è una valida giustificazione il fatto che un evento del genere non si fosse mai verificato, per il semplice motivo che si è già verificato ripetutamente, anche in tempi recenti (giusto dieci anni fa) e a volte in forme ben più gravi.

Ciò non toglie che in molti casi le varie nazioni avrebbero potuto fare di più, più in fretta e meglio. Le autorità cinesi sono state criticate per la scarsa tempestività e trasparenza, ma in tutto il resto del mondo –pur essendo ben noto  che là c’era chi moriva in casa propria senza cure, o che un intero ospedale veniva costruito da zero per fronteggiare l’emergenza– evidentemente i governanti hanno pensato che il problema non li riguardasse, se non marginalmente; in alcuni casi si sono fatti pubblicamente beffe di chi correva, pur tardivamente, ai ripari, e non c’è da dubitare che in altri casi stiano già cercando di insabbiare, a posteriori, le prove della loro colpevolezza.

Essendo la condizione attuale molto simile a quella di una guerra, è comprensibile che ci sia chi invoca la legge marziale, il processo sommario e la fucilazione per chi commette reati abietti come vendere dispositivi medici contraffatti o derubare personale sanitario durante i suoi turni di lavoro. Il danno provocato da costoro, per quanto grande, non può tuttavia essere neanche lontanamente paragonato a quello dovuto all’incompetenza e all’inerzia di quei governanti che, in tutto il mondo, non sono stati all’altezza delle loro responsabilità. Per questi e quelli, comunque, sarei dell’idea di convertire la pena capitale in lavori forzati nei reparti infettivologici degli ospedali. Si tratterebbe di una pena rieducativa e salutare: lavando pavimenti o cambiando pannoloni avranno modo di meditare più profondamente sulle loro carenze, e in aggiunta, entrando in contatto con una varietà di agenti patogeni di ogni tipo, avranno la possibilità di sviluppare un sacco di utilissimi anticorpi.

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