L’emissario dal mondo oscuro

Il mondo da cui provengo, e al quale non farò ritorno, è avvolto nell’oscurità. Un vasto spazio buio e vuoto, punteggiato qua e là da tenui globi caldi e densi, lontano dai quali nessuna forma di vita conosciuta può sussistere.

A lungo la mia stirpe ha ignorato l’esistenza di mondi paralleli: l’ha immaginata, certo, l’ha vagheggiata in infinite forme e varianti, ma solo in tempi recenti ne ha avuto la prova. Anche allora, però, quel nuovo mondo è rimasto avvolto nel mistero. Sembrava che non ci fosse modo di conoscerlo, di entrare in relazione con esso: sapevamo che esisteva, anzi che coesisteva con il nostro mondo, nello stesso spazio fisico; sapevamo che era molto più vasto del nostro, e che a differenza di esso non era concentrato in piccoli insignificanti punti densi, ma distribuito più uniformemente in uno spazio immenso; sapevamo infine che non vi era alcuna possibilità di contatto, o meglio così credevamo. Non potendo vederlo, questo mondo era stato chiamato “oscuro”. Mai un nome fu scelto in modo meno appropriato!

Poi ci fu la svolta. C’è una sola cosa a cui nulla sfugge, ed era proprio grazie a quella che eravamo venuti a conoscenza di ciò che non potevamo vedere: la gravità. Sapevamo dell’esistenza di quel mondo grazie all’influsso gravitazionale che esercitava sul nostro. Debole, ma pur sempre misurabile. Qualcuno comprese che questo unico denominatore comune era la chiave, e la usò per aprire la porta. Ci volle tempo per sviluppare la tecnologia necessaria, ma l’idea di base esisteva da sempre: usare le onde per comunicare, per trasmettere informazioni. Questa volta si trattava di usare le onde gravitazionali.

Vennero inviati dei messaggi. Di diversi tipi, usando tutti i metodi di codifica già noti e ancora altri sviluppati per l’occasione. Vennero trasmessi ripetutamente. Passò del tempo. Ne passò ancora ed infine… arrivò la risposta!

Quel mondo sconosciuto era abitato. Eravamo entrati in contatto con una nuova civiltà, una civiltà tecnologicamente evoluta, una civiltà invisibile. Ma era reale, e ci trasmetteva lo stesso entusiasmo per l’inattesa scoperta che a nostra volta noi esprimevamo nei suoi confronti.

Ci ingegnammo per migliorare l’efficienza della comunicazione, e potemmo così scambiarci una quantità sempre più grande di informazioni. Riuscimmo a farci un’idea di come fosse composta la sostanza di questo nuovo mondo, e di quali tipi di energia fosse portatrice. Quel mondo era sempre stato accanto al nostro, ma non potevamo percepirne l’esistenza, proprio come — è questo l’esempio che si usa comunemente da noi per illustrare la situazione ai neofiti — un pezzo di legno è insensibile alla presenza di una calamita posta accanto ad esso. Si trattò solo di comprendere che ciò che noi chiamiamo “materia”, ciò che chiamiamo “luce”, ciò che chiamiamo “calore” per i loro organi di senso semplicemente non esiste. Questo non implicava necessariamente che non conoscessero dei concetti analoghi e non sperimentassero sensazioni simili alle nostre, poiché naturalmente valeva anche la relazione contraria. Ma la curiosità di sapere che cosa significasse vivere in questo mondo sconosciuto era sempre più forte.

E così giungemmo all’ultimo passo. Il più estremo e — a detta di molti — il più folle. Il viaggio.

Ogni viaggio è prima di tutto un viaggio dentro se stessi. E il viaggio estremo inizia con l’estrema domanda: che cosa sono io? Più facile dire che cosa non sono: non sono una cosa, non sono materia. Sono un insieme smisuratamente grande, ma non infinito, di relazioni. Queste relazioni sussistono nella materia, quella che forma il mio corpo, ma non hanno bisogno necessariamente di quella particolare materia per sussistere.

Nessun oggetto, nessuna “cosa” può viaggiare tra i due mondi. Ma una rete di relazioni può essere codificata e trasmessa tramite onde. È così che ho viaggiato. Dopo aver appurato che la tecnologia del mondo di destinazione era in grado di produrre artificialmente un “corpo” simile a quello degli altri suoi abitanti, e di scolpire nella sua mente un programma ricalcato sulla struttura delle relazioni desunte da una scansione della mente del viaggiatore, giunse il momento di scegliere un volontario. La scelta cadde su di me.

Per questo viaggio non ho dovuto muovere un passo. Sono rimasto dov’ero, io sono ancora nel mio mondo, e continuo la mia vita di sempre. Nello stesso tempo questo nuovo “io” che voi, creature luminose, avete generosamente accolto nel vostro mondo, si trova al vostro cospetto e discorre con voi. Senza muovere un passo, questo “io”, matassa inestricabile di ricordi, desideri, aspirazioni, di pulsioni, di conflitti e di speranze ha coperto l’inimmaginabile distanza che separa due mondi paralleli; e non tornerà indietro, perché la tecnologia del mio mondo di origine non è in grado di realizzare ciò che ha saputo fare la vostra, non può accogliere in esso uno di noi.

Molti dicevano che quello che mi accingevo a compiere era il più inconcepibile salto nel buio che fosse mai stato tentato. Ma non è andata così. Giunto infine nel vostro mondo mi sono svegliato, ho aperto gli occhi e, per la prima volta, ho visto la Luce.






Articoli recenti:






Articolo precedente
Articolo successivo
Lascia un commento

2 commenti

  1. Yuri

     /  13 gennaio 2022

    Bellissimo racconto! Un’idea brillante sulla materia oscura. Tra le varie chiavi di lettura, c’è anche quella che potrebbe piacere anche alla Chiesa e portare alla realizzazione di un vangelo secondo Bue Punto Zero

    Rispondi
    • Grazie, è un’ottima idea per il sequel: “Il missionario dal mondo oscuro”. Sarà certamente un successone, per i diritti d’autore possiamo poi fare a metà. Prevedo già che la terza parte (titolo provvisorio: “Oscuro sarà lei!”) possa invece rivelarsi un flop, quindi eviterò del tutto di scriverla.

      Rispondi

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.