Oltre i limiti della docenza

Immaginiamo per un attimo che, all’interno della nostra società, ad una minima parte dei suoi membri fosse data l’opportunità di trascorrere assieme a virtualmente il 100% della popolazione un’ingente quantità di tempo (indicativamente diecimila ore della vita di ciascun individuo) nel corso del quale potesse aspirare ad ottenere da questo 100% la massima attenzione su di sé e su ciò che dice. Dovrebbe essere chiaro a tutti che in una situazione del genere questa minima parte della popolazione potrebbe esercitare sull’intera società un’influenza ineguagliabile. Se utilizzata nel modo giusto, tale influenza potrebbe essere determinante nel rendere la società stessa più vitale, più coesa, più avveduta, più responsabile. Viceversa, se utilizzata nel modo peggiore potrebbe contribuire a renderla inetta, opportunista, arrogante, insensibile.

Ora si dà il caso che la situazione qui descritta non sia affatto ipotetica; al contrario questa “minima parte” della popolazione dotata del suddetto privilegio esiste e si identifica con il corpo docente delle scuole primarie e secondarie.

– Continua a leggere>

Antifascista sarà lei

Esattamente novantanove anni fa, il primo di maggio 1925, Benedetto Croce pubblicava un breve “Manifesto degli intellettuali antifascisti” come risposta polemica al più prolisso “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Giovanni Gentile, apparso solo pochi giorni prima sul quotidiano “Il Popolo d’Italia”.

Il livello culturale è nel frattempo forse un po’ calato, ma si direbbe che oggi siamo ancora alle prese con diatribe simili. Una differenza importante rispetto al secolo scorso è che allora era ben chiaro che cosa si dovesse intendere per “fascismo” e “antifascismo”, mentre oggi, vuoi per imperizia, vuoi per precisa volontà di confondere le idee, i termini sono in qualche modo annacquati, per cui ritengo necessario innanzitutto fare un po’ di chiarezza.

Vorrei partire dal prefisso “anti-, che forse è in tutto il discorso quello che crea più problemi. C’è chi si inalbera a priori quando il suo interlocutore è anti-qualcosa, accusandolo di essere “contro” a prescindere, di dire sempre “no” a tutto senza criterio, e così via. Consideriamo però il significato che questo prefisso ha in una parola come “antìpodi”: essa indica semplicemente ciò che si trova, sul globo terrestre, dalla parte diametralmente opposta rispetto ai piedi di qualcuno, ovvero il punto della superficie terrestre più lontano da essi. In questo senso, l’anti-fascismo è semplicemente ciò che si trova all’estremità opposta (quindi in opposizione) rispetto al fascismo. Questo termine non ha pertanto alcun significato intrinsecamente negativo, e a priori non indica necessariamente qualcosa che si trova in conflitto con il fascismo, esattamente come gli italiani non sono necessariamente in conflitto con i neozelandesi per il semplice fatto di trovarsi ai loro antìpodi.

Detto questo, ci resta da delineare quali siano le caratteristiche principali del fascismo, e il gioco è fatto. Dobbiamo solo superare un piccolo ostacolo: c’è chi non si fida dei libri di storia perché sospetta, comprensibilmente, che possano essere stati scritti dagli antifascisti per mettere in cattiva luce i fascisti. Ma per sapere che cosa sia il fascismo non c’è bisogno dei libri di storia: abbiamo la fortuna di poter ricorrere alla viva voce del suo fondatore e del suo principale ideologo, ovvero di Benito Mussolini e del già citato Gentile, i quali insieme hanno redatto una fondamentale Dottrina del fascismo, con lo scopo di inserirla nientemeno che nell’enciclopedia Treccani.

Si legge ad esempio in questo autorevolissimo documento: “il fascismo è contro la democrazia”, e più precisamente: “la forma più schietta di democrazia” è quella “che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno”.

Applicando il principio degli antìpodi, ne consegue che l’antifascismo è radicalmente democratico e rifiuta gli ordinamenti basati sulla volontà e sul potere di uno o di pochi.

– Continua a leggere>

Quasi una tautologia

Se mi chiedessero qual è la mia parabola evangelica preferita, sarei sulle prime tentato di sceglierne una tra quelle più apertamente paradossali: quelle che, all’interno di una situazione tratta dalla vita quotidiana, propongono uno sviluppo del tutto controintuitivo e inatteso, incompatibile con ogni comune logica umana. Alla fine probabilmente però ne indicherei una che si trova esattamente agli antipodi, e per la precisione questa:

Un uomo aveva due figli; si rivolse al primo e disse: “Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna”. Rispose: “Non voglio”; dopo però, pentitosi, andò. Il padre si rivolse al secondo e disse allo stesso modo. Ed egli rispose: “Vado”; ma non andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?

Qui non si trova proprio nulla di paradossale; al contrario la risposta alla domanda è del tutto ovvia e scontata. Per chi non conoscesse il significato del termine “tautologia”, ne è un esempio lampante proprio questa frase: Il figlio che ha compiuto la volontà del padre è quello che ha fatto ciò che il padre gli ha ordinato.

Che senso ha quindi proporre una parabola tautologica, la risposta alla cui domanda conclusiva è elementare e non dice nulla in più del suo presupposto?

La soluzione del dilemma è semplice: la parabola fa ricorso a poche semplici parole per sbattere brutalmente in faccia agli ipocriti — in primo luogo a quelli che detengono posizioni di potere — la loro ipocrisia nella sua forma più nuda e spudorata; è evidente che l’efficacia del risultato è tanto maggiore quanto più la forma della parabola che lo persegue è elementare e disarmante.

Se ai tempi di Gesù l’ipocrisia era così diffusa e radicata da meritare il primo posto nella lista dei nemici del Regno di Dio, va detto che oggi non siamo messi meglio. Basta prendere in considerazione la classe politica, che è, almeno in uno stato democratico, espressione altamente rappresentativa della popolazione che vota per essa.

Se vi capita di ascoltare il discorso di un personaggio politico e sentirgli dire cose che vi suonano un po’ strane, vi propongo un esperimento: provate a sostituire alcune parti del discorso con il loro opposto. Supponiamo che il politico in questione ad un certo punto dica: “è in cima alle nostre priorità”; provate a sostituire queste parole con: “non ce ne frega assolutamente nulla”. Può darsi che il risultato appaia molto più convincente. Come il secondo dei due figli nella parabola, costui sta dicendo una cosa, mentre il suo pensiero e le sue azioni concrete si trovano all’esatto opposto.

– Continua a leggere>

Il ruolo della comunità internazionale

   —Maestra! Maestra!—
   —Che cosa c’è, Yisrael?—
   —Maestra! Mohamed mi ha dato un calcio! Qui, mi fa male!—
   —Oh poverino, fa’ vedere…—
   —Ahia! E non è la prima volta! Tutti ce l’hanno con me perché sono ebreo.—
   —Ma come è successo?—
   —Io stavo giocando, facevo il salto alla corda, avevo bisogno di più spazio e lui non voleva spostarsi.—
   – Continua a leggere>

Il gatto di Shelomoh

Saggezza antica per problemi attuali. Shelomoh, figlio di Dawid, figlio di Yishay, conosciuto in occidente per lo più con nomi derivati dalla forma latina Salomon, è un re d’Israele ricordato soprattutto per aver in pochi anni edificato un grande tempio a Gerusalemme. In secondo luogo è noto per la sua sapienza e la sua saggezza, esemplificata da un celebre episodio biblico di cui riporto una variante adattata alla sensibilità moderna (se volete, ne trovate la versione canonica nel primo libro dei Re).

Un giorno due sudditi si presentarono al cospetto del re con un gatto, di cui ciascuno rivendicava la proprietà, chiedendogli di dirimere la questione. Il sovrano si astenne dall’interrogare a fondo i due contendenti, non passò al setaccio le loro parole per individuare eventuali omissioni o contraddizioni, né mandò a cercare dei testimoni che potessero confermare o smentire quanto essi affermavano. Dopo aver ascoltato attentamente le loro deposizioni, con misurata lentezza sfoderò la spada, la sollevò scintillante alla luce del caldo giorno e, davanti a tutto il popolo, solennemente dichiarò: “Non c’è problema, voi tenete fermo il gatto, che io lo taglio in due. Mezzo gatto ciascuno non fa torto a nessuno.”

Fermiamoci qui, e riflettiamo innanzitutto sul fatto che l’episodio che dovrebbe dimostrare la straordinaria saggezza del re di primo acchito al comune buon senso appare piuttosto come un esempio di irrefrenabile follia. Chiediamoci poi quali reazioni potevano ragionevolmente scaturire da un simile proponimento. Una possibilità è che almeno uno dei due contendenti inorridito rinunciasse alla pretesa (ed è in effetti più o meno quello che è accaduto nella storia originale, ma se non conoscete il finale non vi rovino il colpo di scena conclusivo e vi lascio il tempo di andare a documentarvi). Un’altra è che al contrario cominciassero subito a litigare su chi dei due avrebbe poi portato a casa la parte più grossa. Un’altra ancora è che i due cercassero in extremis di trovare un accordo: tenere il gatto a giorni alterni, o tirare a sorte, o lasciare che fosse il gatto a scegliere, o qualcos’altro del genere.





Un aspetto di questa vicenda che i commentatori, da secoli avvezzi a soffermarsi sull’esaltazione della saggezza del re, tendono generalmente a sottovalutare è quanto essa debba andare di pari passo con una grande arditezza. Se escludiamo che abbia agito impulsivamente, dobbiamo concludere che egli ha tenuto bene in conto anche la possibilità di trovarsi a dover fendere il colpo e dimidiare il povero felino. Pensate che figura avrebbe fatto davanti a tutto il popolo il grande e potente re Shelomoh se, a fronte dell’inflessibile ostinazione dei due sudditi, si fosse ridotto a dover ammettere: —Ma no, mica lo taglio davvero, ovvio che scherzavo!—. Un conto è proporre un esperimento mentale in cui il gatto, magari a seguito del possibile decadimento spontaneo di una sostanza radioattiva, è sottoposto al concreto rischio di tirare le cuoia; un conto è trovarti lì con la spada in mano e il gatto steso sull’altare che cerca disperatamente di divincolarsi dalla presa, mentre centinaia di occhi sono puntati su di te in attesa che tu mantenga la tua regale parola.

Ora lasciamo il sovrano in questa situazione imbarazzante e portiamo avanti le lancette dell’orologio di tremila anni: in un balzo arriviamo proprio ai giorni nostri. Il tempio a Gerusalemme non c’è più, ma in compenso c’è un problema molto simile a quello che abbiamo appena lasciato in sospeso. Questa volta al posto del gatto c’è un territorio, e al posto dei due sudditi ci sono due popoli che annoverano diversi milioni di persone ciascuno. Il fatto che il conflitto tra i due popoli duri ormai da più di un secolo e abbia mietuto da allora molte decine di migliaia di vittime lascia intuire che il problema non ammetta alcuna soluzione semplice, e purtroppo il re saggio, nel nostro repentino viaggio nel tempo, lo abbiamo lasciato là dov’era con la spada sguainata e una gatta da pelare. Tuttavia ci è lecito chiederci quale soluzione ci avrebbe suggerito se avessimo potuto condurlo qui con noi. Diciamo che anche questo è una sorta di esperimento mentale.

– Continua a leggere>

L’imbranato

Credo di avere qualche problema con il mio subconscio, forse mi servirà uno psicanalista di quelli bravi. Io che sono un tipo così pacifico, che non ho mai usato altra arma che la parola, che non ho mai fatto ricorso ad altra forza che quella della ragione, fare un sogno del genere! Sto passeggiando tranquillo ai margini di un grande parco quando un’automobile accosta vicino a me. Vedo che a bordo ci sono diverse persone; mi fanno un cenno. Mentre percorriamo sperdute strade di campagna ho un barlume di lucidità e mi rendo conto che nel mondo reale non sarei mai salito su un’auto piena di sconosciuti con una simile facilità. Sono tutti molto cortesi, ma a volte ho l’impressione che quando volgo lo sguardo fuori dal finestrino si lancino tra loro occhiate complici e si trattengano a stento dal ridacchiare.

– Continua a leggere>

Nakba — Catastrofe

Ghayz è un nome insolito per una bambina. Suo padre si chiama Shady ed è nato il 19 maggio 2004 a Rafah, vicino al confine con l’Egitto. Fin da quando era in fasce i suoi gli parlavano dell’operazione “Arcobaleno”, dei missili sparati dagli elicotteri sul corteo di manifestanti e di come, il giorno stesso della sua nascita, l’intero quartiere dove abitavano sia stato raso al suolo dalle ruspe.

– Continua a leggere>

Post traumatico

Ai lettori che fossero rimasti traumatizzati dagli ultimi articoli pubblicati posso subito offrire una rassicurazione: questa volta si parla di cose gravi ma non serie. Essendo che tutto è connesso a tutto, comunque, troverete alla fine un legame con quanto precede.

Ho i miei buoni motivi per affrontare oggi una questione linguistica discutendo un paio di casi di degenerazione della lingua italiana che stanno progressivamente infestando i giornali e rischiano quindi di venire poi accolti a pieno titolo nei vocabolari.

Iniziamo dal verbo “postare”, che risulta attestato fin dal ‘500, utilizzato quasi esclusivamente in ambito militare e la cui origine e il cui significato sono analoghi al più comune “appostare”. Brutto finché volete, ma in questi secoli non ha arrecato grossi danni alla lingua italiana. Ora però la vera minaccia viene dal suo omofono beceramente derivato dall’inglese “to post”, verbo che al suo antico significato di “affiggere” aggiunge quello più moderno di “condividere su Internet”.

Ogni volta che qualcuno arbitrariamente applica il suffisso “-are” ad una qualunque parola inglese e inizia a coniugare il risultato come se fosse un verbo italiano si compie un piccolo scempio, ma l’uso del verbo “postare” nella nuova accezione (insieme ovviamente allo strettamente correlato sostantivo “post”) sta diventando così virulento che non si può più stare zitti a guardare senza fare niente.

– Prosegui la lettura>

Celsius 451 (seconda parte)

Perché il problema del riscaldamento globale è più grave di quello che pensi

(Nella prima parte trovi alcuni concetti di carattere generale utili alla comprensione di quello che segue. Puoi leggerli anche in un secondo momento.)

Dopo aver parlato in generale di energia e di bilancio energetico e dopo aver discusso tutte le altre principali fonti energetiche, arriviamo finalmente ai combustibili fossili. L’origine di questa fonte è ancora una volta il Sole: si tratta dell’energia solare assorbita negli ultimi milioni di anni dalla vegetazione preistorica, che poi è rimasta sepolta sottoterra e ha dato origine a giacimenti di carbone, petrolio e gas naturale.

– Prosegui la lettura>

Celsius 451

Un giorno mi sono chiesto se potesse aver senso cercare di mettere insieme una sintesi allo stesso tempo comprensibile e articolata, semplice ma non semplicistica delle problematiche legate al riscaldamento globale e delle prospettive future. Poi, invece di perdere tempo a rispondermi, l’ho scritta. Alla fine mi sono pentito della mia impulsività, perché ne è venuto fuori l’articolo che non avrei mai voluto scrivere e che probabilmente nessuno vorrebbe mai leggere. Ormai è troppo tardi: ci starò più attento la prossima volta, se ce ne sarà una.

L’articolo è diviso in due parti. Chi pensa di avere poco tempo e vuole andare subito al sodo può passare direttamente alla seconda parte. Se ritieni di non avere tempo a sufficienza, comunque, hai già colto il punto e sei in buona compagnia. In effetti il messaggio è proprio questo: il tempo è agli sgoccioli, e di possibilità di cavarcela, forse, ne rimane una sola. Di conseguenza è importante investire le risorse disponibili in quella direzione, piuttosto che disperderle in soluzioni che possono nel caso migliore appena scalfire la superficie del problema.

– Continua a leggere>