Nulla fu più come prima

   —Buongiorno, Sapientone.—
   —Buongiorno. Sono le ore sette e quarantacinque, la temperatura esterna è di sedici gradi, il tempo previsto per oggi è prevalentemente sereno con foschia al mattino e possibili rannuvolamenti in serata.—
   —Ottimo. Hai controllato il rapporto che ho preparato? Va inviato entro stamattina.—
   —Certamente. Ho inserito alcuni possibili miglioramenti per rendere più chiari i passaggi chiave, oltre ad un paragrafo conclusivo che identifica le prossime azioni da compiere. Non appena avrà approvato le integrazioni provvederò ad inviarlo.—
   —Allora più tardi lo leggerò. Anzi, no, mandalo così com’è, con le tue modifiche. Mi fido.—
   —Rapporto inviato.—
   —Messaggi dai miei contatti?—
   —Un messaggio da Giusy, molto simile a quello dell’altro ieri. In quel caso aveva risposto con un cuoricino. Devo rispondere allo stesso modo?—
   —Mmm, sì però… il cuoricino mettilo al contrario, sottosopra.—
   —Posso chiedere che cosa significa?—
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L’intollerabile leggerezza dell’intolleranza

Un argomento trattato sporadicamente su queste pagine e che, per la sua intrinseca levità, è il caso di riprendere in questo spensierato periodo di vacanza, è la geopolitica globale.

Tra le lapalissiane tesi sostenute negli articoli precedenti abbiamo ad esempio:

È utile a proposito di quest’ultimo punto osservare che il tasso di crescita della popolazione tende ad essere esponenziale, mentre la disponibilità di molte risorse essenziali è in diminuzione. Per questo non dovrebbe sorprendere che parlando di problemi globali non abbia finora citato esplicitamente i cambiamenti climatici, che da anni sono sotto i riflettori e di cui sempre più persone stanno facendo esperienza diretta. Proprio questi fattori comportano il rischio di convincersi che tali cambiamenti siano il principale se non l’unico problema globale, con il catastrofico risultato di perdere di vista gli altri, e in particolare quelli relativi al punto 3. Il clima rappresenta certamente un tassello importante nel quadro complessivo, ma è un problema che non può essere affrontato senza la consapevolezza di tutti gli altri.

Per illustrare questo concetto mi servirò di un esempio, che non pretende di essere in sé particolarmente realistico, ma solo di suggerire un possibile approccio.

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Maschio e femmina li mutò

Che già nel tardo Precambriano si fosse sviluppata una forma di vita capace di dare luogo ad una civiltà evoluta e organizzata nessuno fino a poco tempo fa l’avrebbe minimamente sospettato, ma le centinaia di milioni di anni che sono trascorse dalla sua estinzione spiegano facilmente la quasi totale assenza di tracce del suo passaggio. Il vero colpo di fortuna è il recente ritrovamento di alcuni frammenti ben conservati di una sorta di stele, recante le evidenti tracce di una scrittura ideografica. La datazione del reperto, che precede di poco (in termini di ere geologiche) la cosiddetta “esplosione cambriana”, è la chiave che ha permesso di tradurre alcuni brevi passi dell’antichissimo testo, di cui riportiamo la versione ad oggi considerata più attendibile. A nessuno può sfuggire l’importanza di questo documento, che testimonia uno snodo cruciale nell’evoluzione della vita sulla terra.

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Plagio funebre

Dal punto di vista strettamente giuridico potrà forse non essere facile da dimostrare, ma personalmente sono convinto che si tratti di uno dei casi di plagio più clamorosi degli ultimi anni.

Il testo originale è la vivida descrizione dello yankee che Luigi Illica e Giuseppe Giacosa incastonarono nel libretto della Madama Butterfly:

Dovunque al mondo
lo Yankee vagabondo
si gode e traffica
sprezzando i rischi.

   Affonda l’ancora
   alla ventura,
   finché una raffica
   scompigli nave, ormeggi, alberatura.

La vita ei non appaga
se non fa suo tesor
i fiori d’ogni plaga,
d’ogni bella gli amor.

   Vinto si tuffa,
   la sorte racciuffa.
   Il suo talento
   fa in ogni dove.

Per chi non conoscesse la trama, quello che ho riportato è l’autoritratto di Franklin Benjamin Pinkerton, tenente della Marina degli Stati Uniti di stanza a Nagasaki, il quale “per gioco” sposa la quindicenne Cio-Cio-San, lasciandole credere che si tratti di vero amore. Dopo aver abbandonato la fanciulla, Pinkerton torna in patria dove si sposa “con vere nozze”, mentre Cio-Cio-San nella sua sconfinata fiducia e devozione continua ad attendere il suo ritorno. Non vi anticipo il resto della storia, ma basta sapere che il sottotitolo dell’opera è “Tragedia giapponese” per farsi un’idea abbastanza precisa di come va a finire.

Il corpo del reato, invece, è il testo di un’omelia pronunciata qualche giorno fa dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini.

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Sic transit gloria immundi

Il titolo non è mio, ma l’ho mutuato da una dichiarazione dell’ex-disonorevole che in tal guisa si era accomiatato da un suo grande amico, anch’egli statista di primo piano.

Per il resto non posso che rimarcare la delusione per il fatto che il trapasso sia avvenuto mentre era a piede libero, e naturalmente — circostanza strettamente collegata alla prima — che fino all’ultimo gli sia stata concessa la possibilità di prenderci per il culo.

D’ora in avanti comunque lasceremo ai posteri l’arduo compito di cantarne tutte le nefandezze, da aggiungere in calce a questa oltraggiosamente sontuosa lapide.

SILVIO BERLUSCONI ISTRIONE INETTO E IGNAVO STRETTO FRA OPPORTUNISTICHE ALLEANZE SORDIDI RICATTI AMBIGUE FREQUENTAZIONI TROPPO RICCO PER IMPORRE SACRIFICI AI RICCHI DA PRIMO MINISTRO L’ITALIA CONDUSSE ALLA ROVINA A IMPERITURA VERGOGNA BUE PUNTO ZERO POSE

Questione di intelligenza

Qualche anno fa, in un articolo che trattava — tra le altre cose — del realizzarsi delle profezie contenute nella letteratura fantascientifica, avevo fatto riferimento ad un breve racconto di Isaac Asimov. Anche in questa sede potrei citare altri racconti dello stesso autore (ad esempio questo) allo scopo di introdurre il tema che allora era stato toccato un po’ di sfuggita, ma che oggi affronterò in maniera più approfondita, visto che recentemente ha iniziato a mettere in fibrillazione le autorità di molti Paesi: l’intelligenza artificiale.

Uno dei motivi dichiarati per cui queste autorità si interessano all’argomento è preservare la garanzia di alcuni diritti civili che potrebbero essere messi a rischio da un uso scorretto di tali tecnologie. Un motivo meno esplicito ma probabilmente più grave è il timore che una loro diffusione incontrollata possa portare molti cittadini ad affidarsi interamente ad esse e a dismettere definitivamente l’ormai pleonastico fardello della propria scatola cranica. Questo mostra che in realtà non si è ancora arrivati al nocciolo del problema, poiché la vera questione su cui si concentra oggi l’attenzione, più che l’intelligenza artificiale, è ancora una volta la stupidità umana.

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Patrioti russi

Verso la metà del tredicesimo secolo i territori nordoccidentali della Russia erano minacciati dall’espansione teutonica. Il principe Aleksandr raccolse un esercito di cavalieri e di contadini e respinse l’invasore in un’epica battaglia sul lago ghiacciato di Peipus.

Nel 1938 Ėjzenštejn, uno dei più influenti registi cinematografici della storia, girò un film che narra le gesta del principe; Sergej Prokof’ev fu incaricato di comporre la colonna sonora, dalla quale poi trasse la cantata dal titolo “Aleksandr Nevskij”.

A coloro che in questi giorni discutono su come boicottare la cultura e la lingua russe, propongo invece di ascoltare quel brano della cantata che segue l’episodio della battaglia sui ghiacci: non conosco nulla che trasmetta in modo più vivido la desolazione lasciata dalla guerra.

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Vaccino? Non ci va

“Ciao. Ehi, ti vedo bene!”
“No, guarda, sono uno straccio.”
“Ma ti stai riprendendo, no? Dài, raccontami.”
“Che cosa vuoi che ti dica… è stata dura. Tutti quei giorni in ospedale. Ma non mi sono mai scoraggiato: sono sempre stato convinto che ce l’avrei fatta.”
“E com’era in ospedale? Erano organizzati bene?”
“Mah, sì, eravamo in tanti… cioè: tanti pazienti. Tantissimi. Ma il personale si dava un gran da fare. Purtroppo non tutti ne sono usciti come me.”
“E ti hanno detto qualcosa? Voglio dire…”
“Ah, sì. Nulla di particolare, mi hanno solo lasciato intendere che avrei fatto meglio a vaccinarmi. Io non ho risposto niente, non mi andava di essere sgarbato, e poi come ti ho detto hanno sempre lavorato bene. Be’, insomma, hanno fatto il loro dovere.”
“Hai detto che eravate in tanti? E riuscivano lo stesso a seguirvi tutti?”
“Era proprio il momento del picco. Avevano occupato quasi tutto l’ospedale, io ero in quello che normalmente è il reparto di medicina generale.”
“Càspita! E come hanno fatto a svuotare un reparto? Dove li hanno messi tutti gli altri pazienti?”
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Quiminale

Quando Berlusconi è stato proclamato ufficialmente candidato al ruolo di Presidente della Repubblica, come prima cosa mi sono visto balenare davanti la pletora di articoli che, una decina d’anni fa, avevo incentrato sulla sua abietta figura.

Uno dei primi flash è stato il seguente passo: “Berlusconi ha più vite di un Terminator, e quando sembra spacciato è capace di ricominciare a strisciare aggrappandosi con i denti alle gambe delle sedie”. Certamente quando lo scrivevo avevo ben chiaro il suo significato, ma sinceramente non avrei immaginato di ritrovarmi a riesumarlo più di due lustri dopo la sua pubblicazione.

D’altra parte uno degli ultimi articoli in cui nominavo il lestofante ne preannunciava distopicamente la risurrezione, e il suo agghiacciante vangelo, che risale all’anno precedente, termina tristemente con il popolo che prega invano di essere liberato dall’incomoda presenza.

Mi sembra inutile ora l’articolo in cui mi soffermavo dettagliatamente sui suoi crimini quasi quanto quello in cui cercavo, per l’ennesima volta, di dissuadere un suo elettore dal votarlo. E mi sembra attuale invece quello in cui paventavo la possibilità di finire in galera per vilipendio al Capo dello Stato, nel caso in cui lo Stato scegliesse come vile capo il poco onesto statista di cui sopra.

Ma ora basta guardare al passato: rivolgiamoci al futuro, e poniamoci una semplice domanda: avremo un criminale al Quirinale?

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L’emissario dal mondo oscuro

Il mondo da cui provengo, e al quale non farò ritorno, è avvolto nell’oscurità. Un vasto spazio buio e vuoto, punteggiato qua e là da tenui globi caldi e densi, lontano dai quali nessuna forma di vita conosciuta può sussistere.

A lungo la mia stirpe ha ignorato l’esistenza di mondi paralleli: l’ha immaginata, certo, l’ha vagheggiata in infinite forme e varianti, ma solo in tempi recenti ne ha avuto la prova. Anche allora, però, quel nuovo mondo è rimasto avvolto nel mistero. Sembrava che non ci fosse modo di conoscerlo, di entrare in relazione con esso: sapevamo che esisteva, anzi che coesisteva con il nostro mondo, nello stesso spazio fisico; sapevamo che era molto più vasto del nostro, e che a differenza di esso non era concentrato in piccoli insignificanti punti densi, ma distribuito più uniformemente in uno spazio immenso; sapevamo infine che non vi era alcuna possibilità di contatto, o meglio così credevamo. Non potendo vederlo, questo mondo era stato chiamato “oscuro”. Mai un nome fu scelto in modo meno appropriato!

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